<![CDATA[M. Chiara Di Taranto]]>https://www.mariachiaraditaranto.com/blogRSS for NodeSat, 04 May 2024 20:44:28 GMT<![CDATA[AMORE INCONDIZIONATO]]>https://www.mariachiaraditaranto.com/post/amore-incondizionato634d16d941ee4e66323a7b1dMon, 17 Oct 2022 08:54:38 GMTMaria Chiara Di TarantoChe essa stiri o no, lui l’ama.

Che essa cucini o no, lui l’ama.

Che essa gli tenga compagnia o no, lui l’ama.

Che essa parli al telefono o esca con le amiche, lui l’ama.

Che essa risponda o no ai messaggi del proprio partner, lui l’ama.

Che essa esprima o no il proprio amore per il partner, lui l’ama.

Lui l’ama.

Punto.

Anche lei lo ama. Diversamente, ma lo ama. Ma l’amore finisce.

Quando lui capisce che lei non lo ama più, lui la lascia andare, senza nulla rivendicare, senza nulla pretendere. Le scrive una lettera. Le dice anche che l’odia, ma conclude dicendo che l’ama.



Immagine: Silviarita, Pixabay


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<![CDATA[Le mani di ieri]]>https://www.mariachiaraditaranto.com/post/le-mani-di-ieri634d140a5224d45d833b454dMon, 17 Oct 2022 08:38:10 GMTMaria Chiara Di Taranto"S'intrecciano le nostre mani nei miei pensieri,

Non sono le mani di oggi,

Sono quelle di ieri.


E intrecciandosi le mani,

Mi s’intrecciano i pensieri.”




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<![CDATA[OMBRE]]>https://www.mariachiaraditaranto.com/post/ombre6325ef6750c6a6090bd8c99aSat, 17 Sep 2022 16:09:58 GMTMaria Chiara Di Taranto




La notte è il tempo degli spiriti.

La notte è il tempo dei morti.

La notte è il tempo delle storie incantate, che alcuni dicono vere e che, non importa se lo siano o no, mettono la pelle d’oca a noi bambini, suggestionabili per natura.

Quando fa buio nessuno di noi piccoli si azzarda a varcare lo spazio delle camere da letto, a scendere in cantina o a salire in soffitta senza un adulto accanto e senza la luce accesa.

E quando scurisce non ci avviamo neanche più per la via del Piscero senza un adulto accanto. Sulla strada che porta al Piscero, infatti, subito dopo l’uscita del paese, c’è il cimitero. E il cimitero è abitato da tutte quelle anime di cui trattano quelle storie da pelle d’oca. Tu ti credi che sono morti quei morti e loro lo sono davvero, i loro corpi giacciono immobili in bare sigillate, ma le anime?

Il fatto è che le loro anime sono vive e girovagano perché non hanno ancora trovato pace o perché non hanno ancora trovato la strada verso il cielo, che è poi la stessa cosa. E forse se i grandi non avessero essi stessi paura di quelle anime, non ci sarebbe motivo che ne avessimo noi, ma loro ce l’hanno eccome e così abbiamo paura anche noi, una paura che fa sollevare i capelli sulla testa e fa comparire gli spiriti anche dove non ci sono.

La notte è il tempo in cui si gioca in strada davanti casa o a carte dentro casa.

Quaranta anni dopo.

Parentesi

Un’amica pubblica su FB una foto di quel paese con quel cimitero sulla strada verso il Piscero, un paese in via d’estinzione. Un paese che non credevo potesse interessare ad altre persone oltre che ai figli che esso stesso ha partorito.


Cosa ci fa questa mia amica qui?


È una lunga storia, una storia lunghissima, troppo lunga per lo spazio di questo racconto, forse troverà sfogo in un romanzo. Qui ti basti sapere, caro lettore, che quella mia amica è il canale che mi permette, a 40 anni suonati di realizzare un desiderio che ho nel cuore da un decennio, il desiderio di tornare a Faeto.

Faeto è quel paese in via d’estinzione.

Chiusa parentesi

È il mese di luglio.

Anno 2013.

A Faeto ho almeno una decina di zii e cugini, affettuosi, ospitali, premurosi, tutti felicissimi di rivedermi e desiderosi di ospitarmi. E poi una decina di cari amici di mia madre (figlia di Faeto), anch’essi affettuosi e ospitali, e tutti ansiosi di avermi almeno una volta a pranzo.

È evidente che Faeto non sarà il posto dove potrò stare un po’ in silenzio, né il luogo dove perderò qualche chilo.

Ho un desiderio qui: rientrare a casa di mio nonno, quel luogo dove sentivamo raccontare quelle storie da pelle d’oca, 40 anni fa. Ci sono entrata l’ultima volta 20 anni fa, quando mio nonno è morto.

Lo zio che ha ereditato la casa non ha nulla in contrario, anzi, mi dice che altrimenti la casa è sempre chiusa - lui abita altrove, sulla via del Piscero. E poi aggiunge che, se non sono allergica allo sporco e alla polvere, per quanto lo riguarda posso trasferirmi a casa del nonno, di fare come se fosse casa mia.

Lui evidentemente non pensa più alle storie di morti e fantasmi, o non ci ha mai pensato. Io invece sì! Ma quell’invito tocca parti di me che reagiscono con molto interesse. Un passo alla volta...

Chiedo a due cugine di accompagnarmi. Ed esse sono accanto a me, mentre tiro su la serranda in metallo che nasconde la porta di casa. Infilo la chiave nella toppa e spingo con forza una porta che sembra non volersi aprire. Entrare in questo luogo è come entrare in una macchina del tempo. Un odore forte di umidità, muffa, legna da camino e polvere che darebbe fastidio a chiunque, mi fa venire da piangere per la gioia. Sono gli stessi odori di 40 anni fa.

Gli stessi pavimenti.

Alle pareti gli stessi quadri.

Solo la polvere e le ragnatele sono nuove.

Ci sono anche le vecchie voci della casa, nella mia memoria: una pendola che oggi è ferma, la televisione, le finestre che apriamo per far entrare aria e luce, e con l’aria e la luce entrano le voci del passato e del presente, quelle del mercato e del bar. E poi c’è l’immagine di mia nonna che prepara i biscotti, indossa un camice o un vestito a quadri, sopra un grembiule bianco, ha i capelli legati sulla nuca. Ha un impasto bianco davanti a lei e ne ricava biscotti lunghi che adagia su una teglia rettangolare. E poi c’è il sapore unico delle carrube, le sento in bocca, come se le avessi mangiate ieri, invece forse le ho mangiate l’ultima volta trenta anni fa. E c’è un cesto con le nocciole, accanto alla stufa, sono nocciole fresche, appena raccolte. Ne sento il sapore in bocca.

Ci sono tutte queste cose insieme, e forse molte altre ancora che non registro. Una folla di ricordi e sensazioni. Solo una cosa sembra non esserci, quella che mi aveva preoccupata e fatto chiedere la compagnia delle cugine per entrare: le storie da pelle d’oca. Torneranno più tardi, la sera, quando andrà via la luce.

Forse una casa rimasta inabitata per 20 anni è sempre ricca di mistero. In ogni caso lo è questa. Forse anche solo perché è la casa dei miei nonni e dei miei ricordi. Quello che capisco pochi minuti dopo essere entrata qui è che ho bisogno di tempo, ho bisogno di tempo da passare in questa casa, ho bisogno di tempo tra queste pareti e questi ricordi, ho bisogno di ore e ore in cui fissare questi pavimenti rimasti intatti. Ne ho bisogno per capire chi sono, da dove vengo, cosa mi ha nutrito quando ero piccola, cosa mi ha formato e cosa mi ha ferito.

Adesso so che voglio - devo - affrontare la notte in questo luogo. Voglio affrontare i fantasmi del passato: solo allora potrò affrontare - e vincere - quelli del presente.

Un parte di me che credo di non conoscere dice ad alta voce alle mie cugine: “stasera dormo qui”.

E loro sono tanto stupite - perplesse? sbalordite? - quanto lo è quell’altra parte di me che non ha parlato prima e che sta già domandando “sei sicura? Sai che paura avrai qui quando farà buio? ...”

Sì, sono sicura. Io voglio dormire qui. Lo so che avrò paura, ma proprio per questo voglio farlo. Io so che avrò un’altra vita quando avrò superato le mie paure. E so che è per questo che la vita mi ha portata qui oggi.

Come se avessi detto che voglio far saltare in aria la casa durante la notte, nel giro di poco tempo tutti in paese sanno, parenti e non, e mentre passo per le strade mi guardano come se fossi un kamikaze.

Nessuno è d’accordo. Ognuno ha motivazioni diverse per cui non è una buona idea dormire a casa del nonno.

Il fatto è che in un paese le persone conoscono i colori dei vestiti dei vicini di casa e delle loro sottane, ma non sospettano i colori della propria anima.

Non fa nulla.

Se c’è una cosa che ho imparato, è che quando vuoi fare passi importanti nella vita devi remare contro la massa di gente che non è d’accordo con te.

Passo all’organizzazione, che va da cose banali come passare l’aspirapolvere a cose più importanti come procurarsi incensi e mantra. Una ragazza del paese mi aiuta a pulire casa e dice che mi capisce. Sembra saperla lunga, pur non avendo neanche la terza media. La saggezza non è figlia del sapere.

Uno zio che 40 anni fa si dedicava - e si divertiva? - a raccontarci quelle storie da pelle d’oca, scommette con me che non ce la farò a passare tutta la notte sola in quella casa. È seduto al bar insieme ai suoi amici e compaesani e promette solennemente davanti a tutti che la mattina successiva mi consegnerà 1000 euro davanti a tutti, se passerò davvero la notte in quella casa. Quando lo dice me lo immagino impegnato in azioni notturne atte a incutermi terrore e boicottare i miei piani. Lo affido a mia zia, che se lo tenga a casa durante la notte. E, vista la mia attuale situazione economica, adesso ho un motivo in più per affrontare questa avventura.

Parlo con una cara zia. Le chiedo di poter entrare in casa sua anche durante la notte, nel caso in cui la situazione si faccia davvero brutta e la paura abbia davvero il sopravvento su di me.

La sera.

E quando fa finalmente buio, quella paura della paura, quei pensieri, quei timori si concretizzano: non sono preoccupazioni che sgorgano dalla mente, è una sorta di inquietudine corporea, un’ansia diffusa e quasi paralizzante. Se non conoscessi il potere delle emozioni represse, metterei un po’ di musica per distrarmi, canterei Murolo o Gloria Gaynor, telefonerei ad un’amica che non crede agli spiriti e darei una festa a casa del nonno, ma sono qui per affrontare il passato e me stessa, quindi mi siedo su una poltrona di casa dove mi sento relativamente al sicuro e osservo quello che accade dentro di me.

I miei muscoli del collo. Quelli delle braccia. Tutto il busto. I polmoni. Lo stomaco. Le gambe. Tutto sembra essere immobilizzato e teso allo stesso tempo, pronto a esplodere. Tutto è attraversato da una forte energia che nel contempo mi paralizza ed elettrizza.

La osservo.

Le dico che l’accolgo.

Le dico che la ri-conosco.

Le dico che l’accetto.

Le dico che l’amo.

E a questo punto scoppio in lacrime. Comprendere se sia la paura, l’accettazione di essa o l’amore per essa a far nascere il pianto è difficile. Tutto si confonde e sembra sciogliersi in queste lacrime liberatorie.

Passano alcuni minuti difficili, ma efficaci.

Il respiro si regolarizza.

Il corpo si rilassa.

Credo di aver dato abbastanza attenzione - per il momento - alle mie emozioni: un po’ alla volta! Non posso trasformare in dieci minuti roba accumulata per decenni.

Con calma mi alzo e passo all’azione.

Accendo tutte le luci di casa. Quattro camere, corridoi, scale, bagno e diversi piccoli ripostigli… Li percorro come aspettandomi di veder comparire un morto dietro ogni uscio. Se qualcuno mi vedesse da fuori penserebbe che io sia pazza o che stia dando la caccia ad un animale che ha paura degli spostamenti d’aria. Mi muovo a tratti in modo impercettibile, a tratti velocissima quando credo di aver percepito presenze intangibili e scappo all'indietro.

Apro tutte le finestre di casa, facendo entrare le voci del bar e della strada, i suoni di realtà tangibili e persone in carne ed ossa mi fanno sentire decisamente meglio! Uno degli zii si era preoccupato del fatto che durante la notte in questa casa abbandonata sarebbero potuti entrare i ladri. Francamente se ne incontrassi uno adesso lo accoglierei a braccia aperte: momenti che vivi, paure che trovi.

Continuo la perlustrazione. Devo fare pace con ogni luogo e con ogni anima, se voglio davvero passare la notte qui e se voglio una nuova vita. Ed io lo voglio. Sono qui per questo.

Che le danze abbiano inizio.

Metto un mantra che pare abbia il potere di aprire le porte del cielo alle anime ancora legate alla terra. Lo canto con vera fede ed amore incondizionato nei confronti di quelle anime.

(Sarà incondizionato l’amore di chi si augura di trascorrere una nottata in pace tra queste mura e una nuova vita?).

Cantare quel mantra dolce e potente anestetizza la paura o l’ammalia per tutto il tempo che mi serve a fare pace con i morti.

In mano un bouquet secco di salvia bianca ed un bastoncino di potente incenso accesi, purifico uno per uno tutti gli angoli di casa.

Ad un certo punto realizzo che non c’è più alcuna forma di timore presente in me. Che sia stato il potere del canto (adoro cantare), quello delle parole del mantra, quello degli incensi o quello del senso di responsabilità per queste anime bisognose, o tutte queste cose insieme, non importa. Si è realizzata l’alchimia della bambina insicura e terrorizzata nella sacerdotessa potente e autorevole.

E loro sono puntuali, le anime.

Sembrano presentarsi una ad una. Fantasia o realtà? Forte immaginazione o trasparente intuizione?

Un giorno un mio maestro mi ha detto una cosa che io ho fatto subito mia: quando hai fatto un’esperienza non metterla in discussione, è la TUA esperienza, la TUA verità.

Prima fra tutti si presenta l’anima del nonno. Il nonno è anche l’ultimo ad aver lasciato questa terra, oltre che essere stato il padrone di questa casa.

Non mi fa paura vederlo. E non gli chiedo come sta o cosa ci fa qui. Prego per lui, chiamando tutti gli angeli e gli arcangeli che mi vengono in mente. A cominciare dal mio angelo custode e dal suo, a proseguire con l’Arcangelo Michele. Sarà frutto della mia fantasia, ma è come se, una volta invocato, questo Arcangelo porti luce e profonda pace intorno a me, facendo scomparire i dubbi che affiorano nella mia mente e l’anima del nonno da davanti ai miei occhi.

Ed una volta andato via il nonno, si presenta lo zio Nino.

Stesso rito.

Stesso risultato.

A seguire una nuova anima.

E dopo - che dire? - non vorrai mica conoscere i nomi di tutti i miei parenti defunti? Quella sera sembrano esserci tutti, sembra che sappiano che io sono lì e che - o grazie alla mia paura o grazie alla mia preghiera - essi possano prendere quella strada che avrebbero voluto si aprisse loro da un bel pezzo. Uno ad uno comparendo, chi sereno e solare, bianco e luminoso, chi grigio e spento, ognuno certo di trovare finalmente la liberazione attesa e la pace.

Le anime parlano senza parole. La comunicazione è telepatica e non lascia spazio ad interpretazioni. Alcune di quelle anime vogliono essere perdonate. Io le perdono. E perdonando loro perdono e libero me stessa. Le storie sono vecchie, ma le conseguenze sono attuali, e non riguardano solo me, ma tutta la mia famiglia: la genetica dello spirito. Preghiera e perdono le medicine più potenti.

Alcune anime dicono che vogliono essere ricordate, ed io dico loro che pregherò per esse e di esse mi ricorderò.

Alcune mi ricordano doni che incarnano e che oggi vengono ignorati.

Un’anima in particolare, che io non riconosco, mi parla del nostro talento familiare nel canto e nel disegno, dice che è nostra responsabilità metterli a frutto. È un’anima molto luminosa e mi comunica di volermi aiutare, vivere un po’ attraverso di me…

Ogni anima chiede o dice, ottiene, si libera e poi scompare.

Quando una ad una sono svanite tutte, si diffonde una pace sovrannaturale tra quelle pareti e quegli odori di altri tempi. Sembra quasi non esserci differenza tra questi spazi e quelli di certe foreste o alcuni tramonti sul mare.

Se non fossi la protagonista di questo gioco, non crederei che quella bambina piena di paura si è trasformata in questa donna che parla alle anime dei morti e li accompagna verso la luce.

Ma poi penso che deve essere stata proprio quella debolezza del passato a permettermi questa trasformazione. Come se fossero proprio i nostri talloni di Achille a nascondere i nostri grandi potenziali.

Io un po’ incredula giro per le stanze di casa. Non sono sicura di sapere chi sono.

È un po’ come se avessi affrontato una solitaria sull’Everest. Anche fisicamente sento una spossatezza altrimenti inspiegabile.

Così mettermi a letto è una conseguenza naturale e prendere sonno è un attimo, ma lo faccio lasciando tutte le luci di casa accese: non si sa mai!

Quando riapro gli occhi e la luce del sole è già forte fuori, una gioia sconfinata mi investe: ho superato la notte sola nella casa degli spiriti. E se ieri sera avevo qualche dubbio, adesso non ne ho affatto: io sono la donna coraggiosa di oggi e non quella bambina spaventata di allora.

L’universo mi ha permesso l’accesso al mio livello superiore. Io sono Eleonora Noretti e sono padrona della mia vita, perché ho superato le mie paure. Io decido. Io scelgo. Io voglio. Io sono più forte. Io ce la faccio, perché sono protetta dal cielo. Io ho diritto ad avere una nuova vita e agisco ogni giorno per costruirmela.

Non so se io sia più felice per me e per il mio salto di crescita, per il sonno profondo, per i miei parenti cui potrò raccontare di avercela fatta, per le anime accompagnate durante la notte, per i mille euro che sto per riscuotere davanti allo zio e al paese giudicante che dovrà chiudere la bocca o aprirla per dire “brava”.

E al bar riscuoto, denaro e approvazione.

Una signora, ignara del resto e che sente dire che ho dormito con le finestre aperte, mi domanda con terrore:

- Non hai paura dei topi e dei pipistrelli?

A ciascuno la propria paura.


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<![CDATA[CI SONO TRENI CHE CONOSCONO LE NOSTRE VITE MEGLIO DI NOI]]>https://www.mariachiaraditaranto.com/post/ci-sono-treni-che-conoscono-le-nostre-vite-meglio-di-noi6325ee089e047f39dfced078Sat, 17 Sep 2022 15:57:07 GMTMaria Chiara Di Taranto


Il tuo treno è sul binario.

Di solito non fanno male i treni sui binari.

Invece questo mi sta distruggendo lo stomaco.

Ci sono treni che conoscono le nostre vite meglio di noi.

Tengo la mia mano sul tuo finestrino.

Tu siedi dietro quel vetro che va tutti i giorni là, dove vorrei vivere con te.

Sistemi i tuoi bagagli e ti siedi accanto alla mia mano.

Vedo una donna che implora amore, chiede un gesto di corrispondenza, ma viene ignorata.

Mi fa male vedere quella donna.

Rifiutata.

Umiliata.

Senza che lo comprenda.

Il treno si mette in movimento.

Ci sono treni che rapiscono parti della nostra vita senza chiederci il permesso.

Tengo ancora la mia mano sul tuo finestrino.

Il treno si muove sempre più veloce, fino a quando il tuo viso diventa un profilo di spalle.

Di colpo c’è l’abbandono. Una voragine si apre nel cuore, mi spacca lo stomaco, mi immobilizza su quel binario e mi toglie il fiato.

Di colpo mi accorgo che la mia era l’unica mano sul vetro, lo vedo soltanto adesso.

Non mi hai mai guardato da quando ti sei seduta in treno. Me ne accorgo adesso. Hai trovato il tuo posto. Hai sistemato il tuo bagaglio. Hai tolto e piegato la tua giacca. Hai aperto la tua borsa e tirato fuori il tuo libro. E non mi hai mai guardato. E mi accorgo che quella donna che implora amore sono io.

Povera donna. Perché non mi sono accorta prima di lei?

Adesso è terrorizzata. È andata via la sua donna, lei che non l’aveva mai amata una donna. Ed ora che le era successo e credeva che sarebbe stato un amore grande, lo aveva perso.

Cerco qualcosa di bello cui aggrapparmi. Ma da questo buco nero non si vede niente. Cammino senza sapere cosa accade fuori. Le indicazioni dell’ufficio oggetti smarriti: in fondo a destra. E se fosse così il paradiso? In fondo a destra gli amori smarriti. In paradiso ci devono essere! Lo sento a un passo, ma sono debole anche per morire.

Devo tornare là, su quel binario, dove ho perso il mio amore, là dove le persone si perdono gli ombrelli.

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<![CDATA[COME ARIA - Carla Evani]]>https://www.mariachiaraditaranto.com/post/come-aria-carla-evani629a104bf972445d8f182500Fri, 03 Jun 2022 14:04:03 GMTMaria Chiara Di Taranto



TRAMA:


Mentre Margherita frequenta la terza media arriva in classe “un angelo vestito di bianco, accompagnato da un bidello terrestre. L'angelo si chiama Arianna” e sarà la sua nuova compagna di banco. Tra Margherita e Arianna è affetto a prima vista. Il primo scetticismo della madre di Margherita nei confronti della nuova arrivata è superato non appena apprende che la famiglia risiede in Villa Alba, una ricca e storica villa sul mare: l’abito non fa il monaco, ma la residenza sì. Villa Alba però non viene adibita dalla famiglia Fabbri a vetrina per gli argenti, ma a grande atelier.

Al modo diverso di gestire le rispettive dimore corrisponde un diverso modus vivendi delle due famiglie, l'uno concentrato sull'apparenza, l'altro sulla sostanza.

Due mondi si scontrano nel piccolo universo di Margherita: ipocrisia e conformismo contro trasparenza e autenticità, pedante cattolicesimo contro autentici valori. Le due ragazze – anche a causa di ingiunzioni e tabù esistenti a casa di Margherita - preferiranno incontrarsi più spesso a casa di Arianna. Margherita sceglierà emotivamente la famiglia nuova arrivata, soffrendo intimamente nel “dover giudicare” la propria. Margherita confessa i suoi crucci al parroco di Borgo San Flaviano, Don Domenico, un anticonformista aperto e di cuore. Quest’ultimo regala a Margherita un diario, un Moleskine nero, perché lei possa appuntarvi i suoi dubbi e le sue tante domande. Il regalo del parroco fa sì che presto Margherita – pur non trovando risposte - trovi nella scrittura un intimo interlocutore. Alle già tante collezioni della piccola (passione ereditata dalla mamma, la cui “collezione più importante è quella di figli") si aggiunge allora quella di diari personali.

Vivremo con le due amiche i tempi della scuola, uno scambio culturale con Monaco, il periodo universitario, i primi amori, la decisone di trasferirsi insieme all’estero, a Monaco, dove si vive bene, tutto funziona, ma dove la lingua non è “quella del cuore” e alla Chiesa si pagano le tasse come allo stato. E poi la diagnosi della malattia per Arianna, contemporanea all’incontro di lei col suo grande amore, Sven, che sposerà in punto di morte.

Margherita, che aveva in Arianna il suo rifugio, sarà costretta (aiutata da un gesuita incontrato “per caso”) ad un processo di crescita forzato, dovrà rivedere le sue posizioni e approdare a nuovi porti.



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RECENSIONI:


  • Renata De Rugeriis, La città, dicembre 2013

    Un diario importante da respirare... come aria.

    "Non si tratta di un diario eppure durante la lettura si ha la sensazione di entrare in quella parte custodita dal segreto che offre la lettura di un diario altrui.

    Lettura alla quale siamo invitati con prudenza dall'autrice stessa (cit. inizio quando l'autrice ci ammonisce:

    Caro lettore, perdona le imperfezioni di questa edizione familiare.

    Se ne hai voglia, segnalamele.)

    Il primo romanzo di Carla Eviani, Come Aria, ci giunge così, bello come una promessa. E allo stesso tempo ci trascina impotenti nella lettura.

    L'alternanza costante di analessi e prolessi ci costringe ad una lettura attenta, ci cattura come un elastico, ci attrae senza tregua.

    Non si tratta di evocare ricordi dell'infanzia e non si tratta di recuperare il passato come quando si sospetta di una precoce senilità.

    Eppure la tecnica del diario come struttura narrativa risulta efficace nell'aiutare l'autore e il lettore a ricucire le informazioni e 'intimità dell'informazione ricevuta, come fossimo amici -intimi dell'autrice, ci coinvolge, come detto, in un modo impotente.

    La sensazione di qualcosa di noto che ci accompagnerà nella lettura la troviamo proprio nell'incipit: "Frequentavo la prima media. Una mattina la porta della nostra classe si aprì ed entrò un angelo, accompagnato da un bidello terrestre". Per prima cosa penseremo ad una lettura per ragazzi, una favola forse.

    La voglia di sapere se abbiamo ragione ci porta a continuare la lettura: " L’angelo era vestito di bianco e si chiamava Arianna. I suoi occhi ci illuminarono. I ragazzi gioirono della nuova ed unica bellezza della classe. Le ragazze la odiarono immediatamente e per sempre. Io feci mio il compito di proteggerla dalla stupidità delle compagne di classe: mi riuscì, ma dalla sua prima lentissima morte non potei proteggerla. Fu così che la Campana, prof temutissima, cominciò piano piano ad ammazzare Arianna che aveva appena undici anni."

    Ci sentiamo trionfare e allo stesso tempo siamo colti in fallo dall'anticipazione della morte (presunta?) di Arianna, essere umano e mortale, e non un angelo, non un personaggio di una storia per ragazzi. Siamo costretti a leggere.

    Il modello narrativo è originale. Il flash back ci viene confermato da stralci di diario. I continui riferimenti ad eventi che avvengono nel passato o indifferentemente nel futuro,con dei flash forward, stimolano interattivamente, si direbbe oggi, il lettore e i personaggi.

    Dopo aver identificato i luoghi del passato e del presente, tra l'Abruzzo e la Germania e la Germania e l'Italia, Teramo, Venezia, Monaco, Bologna, possiamo comprendere la varietà di inferenze che questo romanzo ci presenta.

    I riferimenti alla musica ci aiuteranno a scandagliare la linea temporale, quando non lo faranno gli stralci di diario debitamente datati. Da Ivan Graziani con Agnese a Ivan Graziani con Maledette malelingue, ad esempio. E l'omaggio al cantautore teramano è un riconoscimento che gli arriva direttamente dalla Germania italo-tedesca dei migranti.

    Il testo è ricco di ironie e di autoironie, come ad esempio i giochi linguistici ai quali l'autrice si lascia andare simulando un preteso "cattivo tedesco" o "cattivo italiano" quando racconta l'episodio al bar a Venezia: "Devo telefonare a Irina, ma non prima delle 10. Mi avvio per la Strada Nuova e ai primi tavolini al sole incontro alcuni tedeschi che erano in treno con me, seduti nel sole caldo, secondo loro. Ordinano correttamente un cornetto e un cappuccino, solo il latte macchiato diventa un latte macciato. Il cameriere in accento veneziano ripete Due cornetti, un cappuccino e un latte macchiato. Gli sorrido e auguro una buona giornata mentre loro mi augurano una buona cciornata."

    Infine identifichiamo la storia, veramente questa volta. L'indissolubile amicizia tra due donne, raccontata dai tempi delle scuole medie fino alla morte di una delle due. Esattamente come anticipato crudelmente, nell'incipit , ma questo lo penseremo solo alla fine della lettura.

    Sentiremo il bisogno, quasi, di rileggerlo. Per cercare di capire cosa ci è sfuggito. Cosa avremmo potuto fare, ciascuno di noi, per Arianna. Tanto ci sentiamo parte del periodo narrativo, coautori, quasi.

    La sensibilità dell'autrice va oltre queste pagine: l'intero ricavato sarà devoluto all'Associazione Italiana Ciechi.

    Peccato per la necessità dell'autrice di voler scusarsi sin dall'inizio del romanzo e in conclusione ("Invece ho scritto un libro di quasi 400 pagine… ci ho lavorato più di tre anni. Che follia. Qualcuno lo leggerà? Almeno ti conosceranno" e ancora: "Forse questo libro è stato un errore. Ancora droga per il mercato e per il pubblico ") quasi il "bisogno di scrivere" fosse una licenza presasi senza il permesso dei grandi autori o del grande pubblico. Ingenuità ed eccessiva umiltà? forse. O forse, il mostrare una parte di sè, tenuta segreta come in un diario, produce quel necessario imbarazzo davanti all'ignoto possibile lettore."

  • Rocco Capozzi, Università di Toronto - Rivista di Studi Italiani 2013

    Con Come Aria Carla Evani ci offre col suo romanzo di esordio una forte carica di emozioni, se spesso ci fa ridere e sorridere, più spesso ci travolge in quella potente nostalgia, al limite della tristezza, che è tipica dei grandi lirici, ma lo fa con una penna leggera e con quell'ottimismo di fondo che le viene da una profonda fede. È così una storia che potrebbe essere deprimente diventa un’esperienza terapeutica e catartica. A rendere possibile la catarsi è l'analisi di sé stessi, il continuo mettersi in discussione, porsi domande aspettando con pazienza che la vita dia le risposte e questa analisi avviene in parte anche grazie alla scrittura, vista come momento di riflessione, “una delle radici del bene”,[...], “se scrivere può aiutare a risolvere tanti dei problemi che coviamo dentro, riproviamoci. Chissà che non sia la soluzione matematica dal mio problema, la colla buona per rimettere insieme i pezzi, il rimedio che avevo dimenticato, l'antidoto contro la tristezza e chissà, forse contro la morte. [...] farò come quell'uomo, ma con una bacchetta magica in mano, la mia penna, che trasformerà i pensieri in parole e i miei fogli in un giardino. Con l'inchiostro di Arianna non per arare alba pratalia, ma per piantare.” Non è solo la scrittura ad avere una capacità terapeutica, ma anche la letteratura, usata da uno dei protagonisti, di professione critico letterario, “per curare”. Attraverso l'amica Arianna, Margherita – in quel percorso di crescita che compie attraverso tutto il romanzo – scoprirà l'importanza dell'amore gratuito e, nelle ultime pagine del romanzo, liberatoria, la potenza purificatrice del perdono, occasione di catarsi per eccellenza. Geniale nell’offrire vari punti di vista attraverso i diari e le lettere; il registro letterario si adatta di volta in volta ai personaggi e nel caso della protagonista ed io narrante, Margherita, viene documentata l'evoluzione di stile e lingua, dai passi di diario di Margherita bambina sino a quelli di lei adulta. I personaggi principali - come i secondari - sono non solo caratterialmente ben rappresentati e fotografati, ma anche stilisticamente e linguisticamente unici. Arianna e Margherita, nella loro estrema diversità, sono due figure femminili riuscitissime e dire tra le più belle della narrativa italiana degli ultimi anni ed il loro rapporto di amicizia è semplicemente invidiabile. L'autenticità e la freschezza di queste pagine è coinvolgente e, nonostante un impianto narrativo e teorico strutturato, ci sentiamo di credere alla Evani quando a romanzo concluso ci congeda scrivendo in un “PS: Considera questo libro come se si fosse scritto da sé. Ce ne sono tanti così, ma non ci facciamo sempre caso perché talvolta – affidati ad un autore – si sono identificati con esso. Non è l'autore che conta, ma le sue parole.” Sicuramente un messaggio che viene da quella stessa fede che permette all'autrice di concludere serenamente un romanzo dedicato ad una cara amica morta prematuramente. Questo congedo mi ha fatto pensare alla Sontag quando sosteneva che “Steiner pensa che ci siano grandi opere d'arte, palesemente superiori a tutte le altre cose nelle loro varie forme, che esista qualcosa come la serietà profonda. E le opere che nascono dalla serietà profonda, a suo modo di vedere, rivendicano un diritto alla nostra attenzione e alla nostra dedizione che supera in senso qualitativo e quantitativo ogni diritto che ogni altra forma d'arte o di divertimento può esigere.” Credo che Come Aria rappresenti – per dirla con Steiner - una di quelle grandi opere d'arte nate da una serietà profonda. E il fatto che l'Evani gestisca tanta profondità con una tale leggerezza e velocità non fa che aumentare il valore di questo piccolo gioiello narrativo. Lo stile ed il linguaggio sono molto lirici. La narrativa scorre, è piacevole, si direbbe quasi sempre lirica. Lirica è l'autrice che ci pare di intravedere dietro le pagine del libro, una poetessa che è in grado di mettersi a nudo, senza riserve, per trasmetterci emozioni profonde che ci segneranno l'animo. Un'autrice che scrive col cuore e con la mente in modo da rendere le memorie estremamente vivide e cariche di emozioni. Come Aria è un romanzo per un ampio pubblico grazie alla trama coinvolgente e alla lingua ritmica e musicale che trascina nella lettura, ma è allo stesso tempo una lettura stimolante anche per un pubblico dotto. Poliedrico è l'utilizzo di altri autori, citati esplicitamente (come nel caso di Manzoni, Svevo, Musil, Pennac, Feyerabend, Cipolla, Gibran e tanti altri), ma anche usati senza essere citati (per es. Ungaretti, Saramago,etc)in un gioco di riferimenti che farà godere il lettore più colto e che non disturberà il lettore comune. Diffusissimi sono pure gli echi letterari e musicali. Tutto immerso in una lingua ed uno stile di per sé nuovi.


    Sullo stile della Evani sembrerebbe avere un'influenza determinante il fatto che legga molto in lingua tedesca: “[...]Senza quel tesserino (tesserino della biblioteca di Monaco di Baviera, n.d.C.) non avrei fatto indigestione di poesie, parole, espressioni, modi di dire, costruzioni sintattiche particolari, accostamenti stranianti e tutto il resto che in questi anni ha riempito dozzine di quaderni, diari, agende e fogli sparsi. E poiché la scrittura altro non è che il risultato del processo digestivo di quanto ho letto. Oggi posso vomitare migliaia di parole al giorno. Non come posseduta da un demone, come piace pensare, scrivere o dire ad alcuni. Semplicemente posseduta dalle parole che ho posseduto. E così, scrivendo, nuoto verso la serenità. ”

    Ottima è la fusione, nella finzione, di biografia e autobiografia velata; sotto la finzione si intravede il documento, il vissuto, il sofferto di chi scrive. Non mi sorprenderebbe sapere che molti hanno sparso delle lacrime sulle pagine di questo bellissimo diario-romanzo, ammaliati dall'incanto di una potente e profonda poesia.

    Un misto di fede e di rabbia una volta che entriamo nella terza parte e cioè dopo la diagnosi del morbo terminale, bella la piccola suspense di Arianna guarita, ma è solo una piccola speranza perché il lettore già sa come finirà la storia della separazione di due amiche anime gemelle. La lunga durata temporale degli eventi distribuiti in sei parti del testo sembra sparire grazie alla rapidità con cui scorre il narrare; e qui di nuovo credo che sia dovuto alla destrezza e agilità, anzi rapidità, con cui si muove il narratore nei diari e nei dialoghi. Vige la logica della leggerezza, dell'essenzialità e per questo sarebbe piaciuto all'ultimo Calvino.

    Ottima la conoscenza delle tecniche narrative da parte dell'autrice, che gestisce con maestria e leggerezza un romanzo in cui sono presenti una varietà singolare di generi, influenze e codici. Squisito l'utilizzo di una sottile e acuta ironia.

    Se meno interessata alla descrizione di paesaggi, l'Evani sembra avere una vera e propria passione per la fotografia. Belli i molti scatti fotografici presenti nel libro, ai quali andrebbe dedicata un'edizione speciale; rimangono vivi, nella loro magica poesia, quelli delle mani veneziane, dove ancora una volta l'Evani è maestra nell'accostare poesia e quotidianità. Delle molte foto che l'Evani nel libro ci presenta mi rimane indelebile quella della scalinata della casa sul mare che porta in spiaggia e la trattengo con i versi di Montale (“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”) che Arianna vi ha scritto per regalarli al fidanzato poco prima di morire. Dodici gli scalini e dodici i versi: “quando gli architetti pensano coi poeti”.

    Sì, forse quello degli accostamenti imprevisti (le camicie da stirare e la teoria sul metodo di Feyerabend, Silone e la nonna del geriatrico, e molti altri ancora) è - insieme alla freschezza e nitidezza delle immagini e alla profondità dei sentimenti come fossero mai filtrati dalla lente del tempo – la caratteristica che fa di questo romanzo un piccolo fuoco d'artificio, che ci può tenere svegli sino al mattino e ci sorprenderà col suo finale – che solo con Ungaretti possiamo tradurre – perché ci illuminerà d'immenso.

    Col talento, l'intelligenza e la sensibilità che la contraddistinguono sin da questo maturo romanzo d'esordio ci auguriamo che Evani faccia seguito quanto prima con una seconda opera.


    Rocco Capozzi ( University of Toronto)




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<![CDATA[SCHIZOFRENIA]]>https://www.mariachiaraditaranto.com/post/schizofrenia6297337ed61f5bd8ca7a0df9Wed, 01 Jun 2022 09:39:57 GMTMaria Chiara Di Taranto


Domenica pomeriggio.

Nessun programma.

Meraviglioso.

Siedo sul divano e mi godo Schumann.

Prima voce: devi pulire il bagno e chiamare il portiere.

Seconda voce: se non trovi un lavoro sarà un bel problema.

Terza voce: certo che Eleonora si è comportata proprio male.

Quarta voce: non si sta seduti sul divano senza fare niente.

Alla quarta voce vorrei subito obiettare che ascoltare la musica è “fare qualcosa”. Inoltre, stessi anche qui senza far nulla, il godere dell'attimo presente è la cosa più sensata che si possa fare nella vita.

Quinta voce: devi avviare la lavastoviglie e mettere un po' in ordine.

Alla quinta voce vorrei dire che se la casa è in ordine ed io non ho il tempo di godermela (per esempio stando seduta sul divano ascoltando Schumann, come faccio ora), l'ordine diventa una trappola. Un imbroglio esistenziale.

Sesta voce: cosa penserà di te lo zio?

Settima voce: puoi trascrivere le nostre voci su facebook - magari lì qualcuno ci prenderà in considerazione.

Ottava voce: Eleonora è una stronza, questa è la verità.

Voce afona superiore: ci osserva senza farsi toccare da ciò che diciamo. Siamo rovinate. Voci tutte! Alzatevi!

Nona voce: sì, Eleonora è una stronza, superficiale e insensibile. Questa è la verità e non è un giudizio.

Voce afona superiore: non reagisce. Non si fa toccare. Cambiate tattica.

Decima voce: bisogna essere giusti. Dire le cose come stanno. Ha fatto il comodo suo e ti ha ignorata completamente. Va condannata.

Undicesima voce: prima che questa brutta sensazione nei confronti di Eleonora prenda spazio, conviene che ti alzi dal divano, così non ci pensi.

Cara la mia undicesima voce, ho imparato da un pezzo a non darti, e darvi, retta. Non sono più arrabbiata con Eleonora. E se lo fossi non mi alzerei di certo dal divano per distrarmi. Ho cercato per anni di guardare altrove quando la vita era spiacevole e il dolore che mi rifiutavo di guardare mi si è nascosto dentro, malizioso e subdolo, e ha fatto molti danni di cui pago le conseguenze io e le pagano anche terzi innocenti. Mi avevano insegnato ad ingoiare i rospi ed io lo avevo fatto con la speranza che prima o poi da tutti quei rospi venisse fuori almeno un principe.

Oggi ho capito che i rospi vanno chiamati per nome e guardati negli occhi, senza averne paura. Se sono arrabbiata, sento la rabbia fino in fondo, perché se c'è ha il suo motivo di esserci e lascio che mi abiti, senza giudicarla. Quando faccio così, senza condannarla, non resiste più di tanto. Non sopporta la luce, più le punti un riflettore addosso e la osservi con attenzione, più velocemente scompare. Perdonare, dopo, è un gioco da ragazzi.

Se la rabbia non la ammetti (ingoi i rospi come ci hanno educato a fare), prima o poi si trasforma in odio e in malattia.

Dodicesima voce: comunque ormai la pace del pomeriggio è compromessa. Alzati. E fai una cosa utile: mettere in ordine. Come dicono i tedeschi, “l'ordine deve essere” oppure “l'ordine è metà della vita”.

Cara dodicesima voce, ma non eri tu quella che qualche tempo fa diceva di non dare retta ai tedeschi? Comunque, l'ordine dovrà essere, ma pure il disordine! E se metà della vita è ordine, è solo perché l'altra metà è disordine. Quindi lasciami in pace, con la tua saggezza popolare come ti fa comodo.

Tredicesima voce: alzati subito a scrivere, prima che dimentichi tutto.

Avete rotto. Sto ascoltando Schumann. E me lo sto godendo, adesso. Fare una qualsiasi altra cosa adesso, sarebbe una fuga da questo momento perfetto, quindi una pazzia. Ascolto Schumann. Poi farò il resto.

Quattordicesima voce: Vai subito a scrivere, così, poi, lo pubblichi su facebook.

Cara quattordicesima voce. Mi hai fregata.

PS della voce afona superiore: temevamo di aver perso il controllo su un altro essere umano. Non rispondeva all'ansia di ordine e controllo. Sembrava non aver paura del domani, né del giudizio di altri. Pareva addirittura aver smesso di giudicare. Era in grado di perdonare in modo completo e assoluto e sembrava vivere solo nell'attimo presente, fino a quando non abbiamo pronunciato la parola facebook: allora ha capitolato, è ancora sotto il nostro controllo.



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