Chi sono
Sono una ricercatrice spirituale. Sono sempre stata molto credente, ma prima ero dipendente da un’immagine di Dio ereditata da altri, e che mi limitava, imprigionava con doveri “morali” e mi divideva interiormente a causa di radicati sensi di colpa. Oggi sono una donna libera che vive con un profondo senso di pace dentro e che ha cambiato la propria interpretazione del divino (nel quale credo ancora fortemente anche per averne fatta esperienza), ma il Dio in cui credo oggi è un alleato e non un giudice col dito alzato.
La pace che vivo oggi - un sentirsi amata e accompagnata, guidata e protetta - è una conquista, scaturita da anni di silenzio interiore durante i quali ho imparato
- da una parte a non credere più a tutte quelle voci interiori (pregiudizi, credenze, paure, etc.) limitanti e dannose che appesantivano la mia esistenza,
- e dall’altra a riconoscere e “guarire” le mie ferite interiori (e quindi quelle familiari/generazionali)
per cui la mia vita è diventata sempre più spensierata e gradevole: il mondo “fuori” non è altro che uno specchio del nostro mondo interiore, quanto più sano, luminoso (senza ombre e temi nascosti/repressi) è quest’ultimo, tanto più leggera scorre la vita “fuori”. Ed oggi non è più un concetto appreso sui libri (Buddha, Gesù, Goethe e altri), ma l’esperienza che ha fatto della mia vita una palestra di apprendimento e crescita spirituale e personale.
Ho rivestito più ruoli nella mia vita, da quello di insegnante a quello di mamma e moglie, ma anche quello di autrice, attrice e più tardi artista e pedagogista museale… ma il ruolo che mi ha accompagnata sin dall’infanzia è stato quello della brava figlia e donna di casa che accontenta tutti.
Ogni figlio mette una maschera per ricevere l’attenzione dei propri genitori/educatori, quella era stata la mia maschera, forse più semplice di quella del ribelle o di quella del primo della classe, ma a guardare bene una maschera vale l’altra, perché la cosa fondamentale (e triste) è che con essa seppelliamo la nostra vera identità
Sono stata (quasi) la classica ragazza casa e chiesa per la quale quello che conta è la felicità degli altri, e non la propria.
Chissà perché nessuno ci insegna ad
occuparci con amore prima di tutto di noi stessi.
Cosa possiamo dare infatti al resto del mondo -
se non la nostra frustrazione e rabbia repressa,
quando non siamo interiormente profondamente realizzati e quindi sereni?
E infatti io donavo la mia frustrazione agli altri, prima di tutto a mio figlio - ahimè.
È cambiato tutto il 10 settembre del 2012. Quel giorno a mio figlio, un bambino meraviglioso di 6 anni, è stato diagnosticato il diabete di tipo 1.
Per chi non lo conoscesse, il diabete non è certamente una malattia grave, ma io allora non sapevo nulla, mi trovavo accanto al mio bambino steso su un letto d’ospedale e lo vedevo malato cronico (questo sì lo sapevo) per tutta la vita.
Accanto alla tristezza, una domanda gigantesca è nata in me, una domanda che ha cambiato il corso della mia esistenza:
“dove ho sbagliato?”
Il Dio nel quale allora credevo era un Dio che prometteva la gioia a chi Lo seguiva, e allora?
Come potevo essere felice con un figlio malato?
E come poteva essere felice mio figlio?
Perché si era ammalato il mio bambino?
Perché si ammala un bambino?
E perché di diabete, se ero stata sempre attentissima alla sua alimentazione?
UNA PICCOLA PREMESSA: una storiella
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Quando è nato mio figlio io e il padre abbiamo cominciato a cambiare alcune nostre abitudini e quando è venuto il momento di svezzarlo, abbiamo cambiato la nostra alimentazione: ci siamo convertiti lentamente al biologico. Credo che fino ai due o forse tre anni di età mio figlio non abbia mangiato zucchero raffinato, ma quello che so per certo è che non gli avevo mai comprato caramelle. Lui non le conosceva, né le chiedeva. Quando ha cominciato ad andare all’asilo (3 anni circa) ha conosciuto le caramelle gommose a forma di orsetto, che quasi tutti i genitori tedeschi che conoscevamo distribuivano generosamente e di continuo ai propri figli (vivevamo in Germania).
Quelle caramelle sono un concentrato di zucchero raffinato, conservanti e coloranti riconosciuti come cancerogeni. L’ospedale di Düsseldorf li segnalava ai genitori fra i prodotti da evitare per bambini. Molte volte avevo discusso con altre mamme tedesche per questo… Molto volte mi ero arrabbiata, senza ottenere nulla: le mamme distribuivano caramelle come se fossero baci. E quando “Aldo” (mio figlio) veniva invitato a casa di amici, e in particolare alle feste di compleanno, io vivevo con la paura che si abbuffasse di orsetti di gelatina. Lo immaginavo ammalarsi a causa di quelle caramelle… avevo sviluppato una fobia, senza esserne assolutamente consapevole.
Un giorno al parco giochi una mamma aveva tirato fuori i temibili orsetti. Io - cercando di non mostrare nervosismo - le avevo chiesto se sapeva che erano cancerogeni.
Lei mi aveva guardata negli occhi, e poi aveva pronunciato la frase che segue con una tale serenità, fermezza e profondità per cui quelle parole a mano a mano che lei le emetteva sembravano scriversi nell’aria a caratteri cubitali: “Ho curato sempre l’alimentazione dei miei figli, forse in modo maniacale; ne ho partoriti 4 e ne posso crescere solo tre, una è morta di tumore a 3 anni. Da allora mangiamo tutto quello che ci va.”
Puoi immaginare il mio shock.
Tuttavia non compresi.
Eppure quelle parole erano state davvero forti, so ancora esattamente dove mi trovavo quando le ho ascoltate.
Quando passo di là ancora oggi le sento, ogni volta, e ogni volta penso a quella mamma, e a quella bambina.
Eppure non capii.
A posteriori so che avrei potuto cambiare il mio modo di vivere quel giorno, ma non lo feci.
Forse capiamo soltanto quando siamo “pronti”.
E molti di noi hanno bisogno di sentire una spada che trafigga loro il cuore per svegliarsi e comprendere, per me è stato così in ogni caso…
TORNIAMO A QUEL 10 SETTEMBRE,
giorno della diagnosi di diabete
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Eravamo in quella stanza di ospedale, mio figlio, il padre, io, un amichetto di mio figlio e un’infermiera.
Ad un certo punto si apre la porta ed entra un dottore col camice bianco.
Sapete cosa ha in mano quel dottore?
Sapete cosa sventola come un trofeo nell’aria?
Una bustina di quelle caramelle: gli orsetti gelatinosi.
Guarda mio figlio e gli dice: “allora ‘Aldo’, questi sono il tuo salvavita, adesso li puoi/devi portare sempre in tasca con te, e quando ti senti un po’ strano te li mangi tutti”.
Io avevo 38 anni, una vita da fervida credente alle spalle e condita da monologhi (NON dialoghi, avrei capito dopo) continui con un uomo di nome Gesù, ma quel giorno - per la prima volta nella mia vita - qualcuno (“dall’Alto”?) mi consegnava un messaggio chiarissimo attraverso quel medico. Non era un messaggio fatto di parole, come quello della mamma dell’asilo, era una SENSAZIONE FORTE E CHIARA: la cosa alla quale avevo sempre fatto guerra diventava il salvavita di mio figlio: dovevo aver capito male qualcosa di molto importante nella vita.
Ho dovuto tradurre quel messaggio e quella sensazione in parole. L’ho fatto così “Chiara, il tuo compito è quello di occuparti con amore di tuo figlio, ma l’amore si fida e non ha paura, quando hai paura, hai perso il contatto con me. TU NON PUOI CONTROLLARE TUTTO, IO SONO DIO, NON TU! Prima di te, sono io a volere il bene di tuo figlio e ad occuparmi di lui. Perché non ti fidi di me? Una cosa è occuparti con amore di tuo figlio e della sua alimentazione. Un’altra è occupartene con paura.”
SCELTE BASATE SULL’AMORE, E NON SULLA PAURA,
SULLA FEDE E NON SUL CONTROLLO:
È TUTTO QUI IL SEGRETO DELLA VITA.
Un “segreto” scritto nei Vangeli, raccontato da maestri spirituali e filosofi, ma difficile (impossibile?) da comprendere senza averne fatta esperienza: mio figlio era venuto a portarmi questo grande dono, impacchettato con una carta incandescente ed un nastro tagliente.
Da quel giorno ho imparato a fidarmi: la mia fede teorica è divenuta una fede pratica. Il mio monologo un dialogo. L’esistenza un alternarsi di domande e risposte. Tutto è diventato un processo di apprendimento e crescita. E la mia vita disastrosa è diventata una vita miracolosa.