La notte è il tempo degli spiriti.
La notte è il tempo dei morti.
La notte è il tempo delle storie incantate, che alcuni dicono vere e che, non importa se lo siano o no, mettono la pelle d’oca a noi bambini, suggestionabili per natura.
Quando fa buio nessuno di noi piccoli si azzarda a varcare lo spazio delle camere da letto, a scendere in cantina o a salire in soffitta senza un adulto accanto e senza la luce accesa.
E quando scurisce non ci avviamo neanche più per la via del Piscero senza un adulto accanto. Sulla strada che porta al Piscero, infatti, subito dopo l’uscita del paese, c’è il cimitero. E il cimitero è abitato da tutte quelle anime di cui trattano quelle storie da pelle d’oca. Tu ti credi che sono morti quei morti e loro lo sono davvero, i loro corpi giacciono immobili in bare sigillate, ma le anime?
Il fatto è che le loro anime sono vive e girovagano perché non hanno ancora trovato pace o perché non hanno ancora trovato la strada verso il cielo, che è poi la stessa cosa. E forse se i grandi non avessero essi stessi paura di quelle anime, non ci sarebbe motivo che ne avessimo noi, ma loro ce l’hanno eccome e così abbiamo paura anche noi, una paura che fa sollevare i capelli sulla testa e fa comparire gli spiriti anche dove non ci sono.
La notte è il tempo in cui si gioca in strada davanti casa o a carte dentro casa.
Quaranta anni dopo.
Parentesi
Un’amica pubblica su FB una foto di quel paese con quel cimitero sulla strada verso il Piscero, un paese in via d’estinzione. Un paese che non credevo potesse interessare ad altre persone oltre che ai figli che esso stesso ha partorito.
Cosa ci fa questa mia amica qui?
È una lunga storia, una storia lunghissima, troppo lunga per lo spazio di questo racconto, forse troverà sfogo in un romanzo. Qui ti basti sapere, caro lettore, che quella mia amica è il canale che mi permette, a 40 anni suonati di realizzare un desiderio che ho nel cuore da un decennio, il desiderio di tornare a Faeto.
Faeto è quel paese in via d’estinzione.
Chiusa parentesi
È il mese di luglio.
Anno 2013.
A Faeto ho almeno una decina di zii e cugini, affettuosi, ospitali, premurosi, tutti felicissimi di rivedermi e desiderosi di ospitarmi. E poi una decina di cari amici di mia madre (figlia di Faeto), anch’essi affettuosi e ospitali, e tutti ansiosi di avermi almeno una volta a pranzo.
È evidente che Faeto non sarà il posto dove potrò stare un po’ in silenzio, né il luogo dove perderò qualche chilo.
Ho un desiderio qui: rientrare a casa di mio nonno, quel luogo dove sentivamo raccontare quelle storie da pelle d’oca, 40 anni fa. Ci sono entrata l’ultima volta 20 anni fa, quando mio nonno è morto.
Lo zio che ha ereditato la casa non ha nulla in contrario, anzi, mi dice che altrimenti la casa è sempre chiusa - lui abita altrove, sulla via del Piscero. E poi aggiunge che, se non sono allergica allo sporco e alla polvere, per quanto lo riguarda posso trasferirmi a casa del nonno, di fare come se fosse casa mia.
Lui evidentemente non pensa più alle storie di morti e fantasmi, o non ci ha mai pensato. Io invece sì! Ma quell’invito tocca parti di me che reagiscono con molto interesse. Un passo alla volta...
Chiedo a due cugine di accompagnarmi. Ed esse sono accanto a me, mentre tiro su la serranda in metallo che nasconde la porta di casa. Infilo la chiave nella toppa e spingo con forza una porta che sembra non volersi aprire. Entrare in questo luogo è come entrare in una macchina del tempo. Un odore forte di umidità, muffa, legna da camino e polvere che darebbe fastidio a chiunque, mi fa venire da piangere per la gioia. Sono gli stessi odori di 40 anni fa.
Gli stessi pavimenti.
Alle pareti gli stessi quadri.
Solo la polvere e le ragnatele sono nuove.
Ci sono anche le vecchie voci della casa, nella mia memoria: una pendola che oggi è ferma, la televisione, le finestre che apriamo per far entrare aria e luce, e con l’aria e la luce entrano le voci del passato e del presente, quelle del mercato e del bar. E poi c’è l’immagine di mia nonna che prepara i biscotti, indossa un camice o un vestito a quadri, sopra un grembiule bianco, ha i capelli legati sulla nuca. Ha un impasto bianco davanti a lei e ne ricava biscotti lunghi che adagia su una teglia rettangolare. E poi c’è il sapore unico delle carrube, le sento in bocca, come se le avessi mangiate ieri, invece forse le ho mangiate l’ultima volta trenta anni fa. E c’è un cesto con le nocciole, accanto alla stufa, sono nocciole fresche, appena raccolte. Ne sento il sapore in bocca.
Ci sono tutte queste cose insieme, e forse molte altre ancora che non registro. Una folla di ricordi e sensazioni. Solo una cosa sembra non esserci, quella che mi aveva preoccupata e fatto chiedere la compagnia delle cugine per entrare: le storie da pelle d’oca. Torneranno più tardi, la sera, quando andrà via la luce.
Forse una casa rimasta inabitata per 20 anni è sempre ricca di mistero. In ogni caso lo è questa. Forse anche solo perché è la casa dei miei nonni e dei miei ricordi. Quello che capisco pochi minuti dopo essere entrata qui è che ho bisogno di tempo, ho bisogno di tempo da passare in questa casa, ho bisogno di tempo tra queste pareti e questi ricordi, ho bisogno di ore e ore in cui fissare questi pavimenti rimasti intatti. Ne ho bisogno per capire chi sono, da dove vengo, cosa mi ha nutrito quando ero piccola, cosa mi ha formato e cosa mi ha ferito.
Adesso so che voglio - devo - affrontare la notte in questo luogo. Voglio affrontare i fantasmi del passato: solo allora potrò affrontare - e vincere - quelli del presente.
Un parte di me che credo di non conoscere dice ad alta voce alle mie cugine: “stasera dormo qui”.
E loro sono tanto stupite - perplesse? sbalordite? - quanto lo è quell’altra parte di me che non ha parlato prima e che sta già domandando “sei sicura? Sai che paura avrai qui quando farà buio? ...”
Sì, sono sicura. Io voglio dormire qui. Lo so che avrò paura, ma proprio per questo voglio farlo. Io so che avrò un’altra vita quando avrò superato le mie paure. E so che è per questo che la vita mi ha portata qui oggi.
Come se avessi detto che voglio far saltare in aria la casa durante la notte, nel giro di poco tempo tutti in paese sanno, parenti e non, e mentre passo per le strade mi guardano come se fossi un kamikaze.
Nessuno è d’accordo. Ognuno ha motivazioni diverse per cui non è una buona idea dormire a casa del nonno.
Il fatto è che in un paese le persone conoscono i colori dei vestiti dei vicini di casa e delle loro sottane, ma non sospettano i colori della propria anima.
Non fa nulla.
Se c’è una cosa che ho imparato, è che quando vuoi fare passi importanti nella vita devi remare contro la massa di gente che non è d’accordo con te.
Passo all’organizzazione, che va da cose banali come passare l’aspirapolvere a cose più importanti come procurarsi incensi e mantra. Una ragazza del paese mi aiuta a pulire casa e dice che mi capisce. Sembra saperla lunga, pur non avendo neanche la terza media. La saggezza non è figlia del sapere.
Uno zio che 40 anni fa si dedicava - e si divertiva? - a raccontarci quelle storie da pelle d’oca, scommette con me che non ce la farò a passare tutta la notte sola in quella casa. È seduto al bar insieme ai suoi amici e compaesani e promette solennemente davanti a tutti che la mattina successiva mi consegnerà 1000 euro davanti a tutti, se passerò davvero la notte in quella casa. Quando lo dice me lo immagino impegnato in azioni notturne atte a incutermi terrore e boicottare i miei piani. Lo affido a mia zia, che se lo tenga a casa durante la notte. E, vista la mia attuale situazione economica, adesso ho un motivo in più per affrontare questa avventura.
Parlo con una cara zia. Le chiedo di poter entrare in casa sua anche durante la notte, nel caso in cui la situazione si faccia davvero brutta e la paura abbia davvero il sopravvento su di me.
La sera.
E quando fa finalmente buio, quella paura della paura, quei pensieri, quei timori si concretizzano: non sono preoccupazioni che sgorgano dalla mente, è una sorta di inquietudine corporea, un’ansia diffusa e quasi paralizzante. Se non conoscessi il potere delle emozioni represse, metterei un po’ di musica per distrarmi, canterei Murolo o Gloria Gaynor, telefonerei ad un’amica che non crede agli spiriti e darei una festa a casa del nonno, ma sono qui per affrontare il passato e me stessa, quindi mi siedo su una poltrona di casa dove mi sento relativamente al sicuro e osservo quello che accade dentro di me.
I miei muscoli del collo. Quelli delle braccia. Tutto il busto. I polmoni. Lo stomaco. Le gambe. Tutto sembra essere immobilizzato e teso allo stesso tempo, pronto a esplodere. Tutto è attraversato da una forte energia che nel contempo mi paralizza ed elettrizza.
La osservo.
Le dico che l’accolgo.
Le dico che la ri-conosco.
Le dico che l’accetto.
Le dico che l’amo.
E a questo punto scoppio in lacrime. Comprendere se sia la paura, l’accettazione di essa o l’amore per essa a far nascere il pianto è difficile. Tutto si confonde e sembra sciogliersi in queste lacrime liberatorie.
Passano alcuni minuti difficili, ma efficaci.
Il respiro si regolarizza.
Il corpo si rilassa.
Credo di aver dato abbastanza attenzione - per il momento - alle mie emozioni: un po’ alla volta! Non posso trasformare in dieci minuti roba accumulata per decenni.
Con calma mi alzo e passo all’azione.
Accendo tutte le luci di casa. Quattro camere, corridoi, scale, bagno e diversi piccoli ripostigli… Li percorro come aspettandomi di veder comparire un morto dietro ogni uscio. Se qualcuno mi vedesse da fuori penserebbe che io sia pazza o che stia dando la caccia ad un animale che ha paura degli spostamenti d’aria. Mi muovo a tratti in modo impercettibile, a tratti velocissima quando credo di aver percepito presenze intangibili e scappo all'indietro.
Apro tutte le finestre di casa, facendo entrare le voci del bar e della strada, i suoni di realtà tangibili e persone in carne ed ossa mi fanno sentire decisamente meglio! Uno degli zii si era preoccupato del fatto che durante la notte in questa casa abbandonata sarebbero potuti entrare i ladri. Francamente se ne incontrassi uno adesso lo accoglierei a braccia aperte: momenti che vivi, paure che trovi.
Continuo la perlustrazione. Devo fare pace con ogni luogo e con ogni anima, se voglio davvero passare la notte qui e se voglio una nuova vita. Ed io lo voglio. Sono qui per questo.
Che le danze abbiano inizio.
Metto un mantra che pare abbia il potere di aprire le porte del cielo alle anime ancora legate alla terra. Lo canto con vera fede ed amore incondizionato nei confronti di quelle anime.
(Sarà incondizionato l’amore di chi si augura di trascorrere una nottata in pace tra queste mura e una nuova vita?).
Cantare quel mantra dolce e potente anestetizza la paura o l’ammalia per tutto il tempo che mi serve a fare pace con i morti.
In mano un bouquet secco di salvia bianca ed un bastoncino di potente incenso accesi, purifico uno per uno tutti gli angoli di casa.
Ad un certo punto realizzo che non c’è più alcuna forma di timore presente in me. Che sia stato il potere del canto (adoro cantare), quello delle parole del mantra, quello degli incensi o quello del senso di responsabilità per queste anime bisognose, o tutte queste cose insieme, non importa. Si è realizzata l’alchimia della bambina insicura e terrorizzata nella sacerdotessa potente e autorevole.
E loro sono puntuali, le anime.
Sembrano presentarsi una ad una. Fantasia o realtà? Forte immaginazione o trasparente intuizione?
Un giorno un mio maestro mi ha detto una cosa che io ho fatto subito mia: quando hai fatto un’esperienza non metterla in discussione, è la TUA esperienza, la TUA verità.
Prima fra tutti si presenta l’anima del nonno. Il nonno è anche l’ultimo ad aver lasciato questa terra, oltre che essere stato il padrone di questa casa.
Non mi fa paura vederlo. E non gli chiedo come sta o cosa ci fa qui. Prego per lui, chiamando tutti gli angeli e gli arcangeli che mi vengono in mente. A cominciare dal mio angelo custode e dal suo, a proseguire con l’Arcangelo Michele. Sarà frutto della mia fantasia, ma è come se, una volta invocato, questo Arcangelo porti luce e profonda pace intorno a me, facendo scomparire i dubbi che affiorano nella mia mente e l’anima del nonno da davanti ai miei occhi.
Ed una volta andato via il nonno, si presenta lo zio Nino.
Stesso rito.
Stesso risultato.
A seguire una nuova anima.
E dopo - che dire? - non vorrai mica conoscere i nomi di tutti i miei parenti defunti? Quella sera sembrano esserci tutti, sembra che sappiano che io sono lì e che - o grazie alla mia paura o grazie alla mia preghiera - essi possano prendere quella strada che avrebbero voluto si aprisse loro da un bel pezzo. Uno ad uno comparendo, chi sereno e solare, bianco e luminoso, chi grigio e spento, ognuno certo di trovare finalmente la liberazione attesa e la pace.
Le anime parlano senza parole. La comunicazione è telepatica e non lascia spazio ad interpretazioni. Alcune di quelle anime vogliono essere perdonate. Io le perdono. E perdonando loro perdono e libero me stessa. Le storie sono vecchie, ma le conseguenze sono attuali, e non riguardano solo me, ma tutta la mia famiglia: la genetica dello spirito. Preghiera e perdono le medicine più potenti.
Alcune anime dicono che vogliono essere ricordate, ed io dico loro che pregherò per esse e di esse mi ricorderò.
Alcune mi ricordano doni che incarnano e che oggi vengono ignorati.
Un’anima in particolare, che io non riconosco, mi parla del nostro talento familiare nel canto e nel disegno, dice che è nostra responsabilità metterli a frutto. È un’anima molto luminosa e mi comunica di volermi aiutare, vivere un po’ attraverso di me…
Ogni anima chiede o dice, ottiene, si libera e poi scompare.
Quando una ad una sono svanite tutte, si diffonde una pace sovrannaturale tra quelle pareti e quegli odori di altri tempi. Sembra quasi non esserci differenza tra questi spazi e quelli di certe foreste o alcuni tramonti sul mare.
Se non fossi la protagonista di questo gioco, non crederei che quella bambina piena di paura si è trasformata in questa donna che parla alle anime dei morti e li accompagna verso la luce.
Ma poi penso che deve essere stata proprio quella debolezza del passato a permettermi questa trasformazione. Come se fossero proprio i nostri talloni di Achille a nascondere i nostri grandi potenziali.
Io un po’ incredula giro per le stanze di casa. Non sono sicura di sapere chi sono.
È un po’ come se avessi affrontato una solitaria sull’Everest. Anche fisicamente sento una spossatezza altrimenti inspiegabile.
Così mettermi a letto è una conseguenza naturale e prendere sonno è un attimo, ma lo faccio lasciando tutte le luci di casa accese: non si sa mai!
Quando riapro gli occhi e la luce del sole è già forte fuori, una gioia sconfinata mi investe: ho superato la notte sola nella casa degli spiriti. E se ieri sera avevo qualche dubbio, adesso non ne ho affatto: io sono la donna coraggiosa di oggi e non quella bambina spaventata di allora.
L’universo mi ha permesso l’accesso al mio livello superiore. Io sono Eleonora Noretti e sono padrona della mia vita, perché ho superato le mie paure. Io decido. Io scelgo. Io voglio. Io sono più forte. Io ce la faccio, perché sono protetta dal cielo. Io ho diritto ad avere una nuova vita e agisco ogni giorno per costruirmela.
Non so se io sia più felice per me e per il mio salto di crescita, per il sonno profondo, per i miei parenti cui potrò raccontare di avercela fatta, per le anime accompagnate durante la notte, per i mille euro che sto per riscuotere davanti allo zio e al paese giudicante che dovrà chiudere la bocca o aprirla per dire “brava”.
E al bar riscuoto, denaro e approvazione.
Una signora, ignara del resto e che sente dire che ho dormito con le finestre aperte, mi domanda con terrore:
- Non hai paura dei topi e dei pipistrelli?
A ciascuno la propria paura.
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